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Siamo un centro di ricerca e intervento e ispirandoci alla tradizione di impegno civico del meridionalismo, intendiamo il fenomeno migratorio come una chiave fondamentale per comprendere e agire sui problemi strutturali del Sud.
La rivista è lo spazio dove insieme a ricercatori e attivisti miriamo a costruire un lessico condiviso sulle tematiche principali che orientano il nostro lavoro.
ONI CAMPANIA 2022/2023
PROGETTI ED EVENTI
FRONTIERA SUD. LA RIVISTA
FRONTIERA. Anno 0 Numero 1
VIII CONVEGNO NAZIONALE SIAA
“Il tempo della frontiera”: prospettive per la ricerca-intervento nel campo delle migrazioni
METIS FEST
Seconda edizione del Festival delle Intersezioni di Popoli e Culture
ONI CAMPANIA
Osservatorio Regionale sulle nuove italianità
METIS FEST
Prima edizione del Festival delle Intersezioni di Popoli e Culture
O.S.A.R.E.
Osservatorio su Sfruttamento Agricolo e Resistenze
Emergenza Covid-19, inclusione sociale e didattica a distanza
- Fatima Ouazri
- 26 Gennaio 2021
Il lavoro sociale è di per sé caratterizzato dal contatto umano, dall’empatia, dalla capacità dell’operatore sociale di comprendere i bisogni delle persone con cui lavora per accompagnarle in un processo di miglioramento delle proprie condizioni di vita. In tutto questo processo di cura, lungo e faticoso, la relazione diretta con le persone è fondamentale. L’emergenza Covid-19 ha messo a dura prova il lavoro sociale, riducendo e trasformando il contatto umano che lo contraddistingue. Il centro interculturale per l'incontro e la convivenza tra differenze Officine Gomitoli, gestito dalla cooperativa Dedalus, negli ultimi anni è diventato un luogo di riferimento per gli adolescenti del territorio napoletano che, attraverso l’arte e l’incontro interculturale, hanno sperimentato nuove forme di crescita personale e sociale in un contesto multiculturale. Le attività artistiche e formative che portiamo avanti hanno favorito la promozione e lo sviluppo delle capacità relazionali e professionali di numerosi giovani con background migratorio e
Stati Uniti e Razzismo: la tecnologia rimane neutrale?
- Margherita Natali
- 09 Dicembre 2020
Mi chiamo Margherita, italiana, migrante. Gestisco un progetto globale sulla sicurezza dei confini e lo scambio responsabile di dati biometrici tra Stati al fine di prevenire il transito di soggetti sospettati di essere associati a reti terroristiche. Per vocazione e professione quindi sono molto sensibile al rispetto dei diritti umani che, soprattutto nel mio ambito lavorativo, risultano molto spesso offuscati/soffocati sotto il mantello della sicurezza nazionale o internazionale, addirittura. Ho sempre pensato ad alcune comunità statunitensi, per esempio New York o San Francisco, come rari campioni pacifici di coesistenza di etnie che hanno sempre mantenuto marcati i loro caratteri identitari e culturali nelle più peculiari e libere espressioni. Ho deciso di dedicare questo contributo al tema della (presunta) neutralità e accuratezza delle tecnologie che si occupano di verificare l’identità, principalmente attraverso sistemi di raccolta e riconoscimento dei dati biometrici. Si potrebbe credere che la tecnologia sia neurale rispetto ai colori della pelle
Straniero: un laboratorio per costruire identità di frontiera.
- Frontiera Sud Aps
- 21 Ottobre 2020
“La mia posizione è di straniero nella mia nazione…” così cantavano i Sangue misto nel 1994 parlando delle discriminazioni che toccavano gli “estranei” vecchi e nuovi d’Italia.Sono passati oltre 25 anni, sono state varate varie leggi sull’immigrazione, la composizione sociale dello stivale è cambiata radicalmente. Ma il termine “straniero” è ancora sugli scudi. Ancora resuscita movimenti politici che propugnano congruenza tra razza e identità nazionale. Ancora mette in moto la macchina dell’umanitario che trasforma le persone e la loro complessità in un piatto caldo e una coperta. Ancora è una bomba capace di far esplodere il piano sociale, politico ed economico ogni volta che viene lanciata. E nel deflagrare azzera non solo la complessità, ma anche le possibilità intrinseche al termine.Ma che cos’è lo “straniero”? Questa è la domanda centrale di questa call. Cerchiamo risposte che vadano oltre lo sguardo della nazione, dove il termine equivale a corpo estraneo, a
Solo un fiume a separarci – Invisibilità e frontiere
- Alessandro Giovannelli
- 13 Ottobre 2020
«Non si dovrebbe mai dare un "noi" per scontato quando si tratta di guardare il dolore degli altri». [S. Sontag, Davanti al dolore degli altri, 2003] Ma chi siamo noi? E chi sono gli altri? Che cosa ci divide? Si può guardare il dolore, di chiunque esso sia, e non esserne partecipi? Ed oltre il dolore, almeno al cospetto della morte, si è davvero tutti uguali? Quello di Francisco Cantù è un racconto che fa male, che affonda come una lama nella carne. Ma è tanto doloroso quanto necessario. Necessario per capire, al di là della superficie, la “verità”, ciò che realmente accade lungo il confine tra Messico e Stati Uniti, uno dei più “caldi” al mondo. L’opera di Cantù ha il pregio, enorme, di rendere visibile un fenomeno “invisibile”, tanto astratto e remoto da essere percepito da molta opinione pubblica, anche per precise responsabilità della politica e della retorica
Per andare dove dobbiamo andare per dove dobbiamo andare?
- Teresa Bruno
- 16 Luglio 2020
Scenografia: Sala Consilina, un comune del Vallo di Diano in provincia di Salerno. Protagonisti: L’amministrazione comunale, gli immigrati senegalesi, una rete di persone riunitesi spontaneamente per aiutare alcuni concittadini ad affrontare l’emergenza della fame. Un amico avvocato, consigliere comunale dell’opposizione. Lo sfondo è quello dell’epidemia quando eravamo tutti a casa. La narrazione sceglie di seguire le vicende degli abitanti senegalesi, concentrandosi nel tempo che è intercorso fra la pubblicazione dei due bandi per la distribuzione dei buoni spesa, fra il 31 marzo e il 18 maggio. Infine, sale sulle spalle di tutti loro e compie la sua evoluzione finale il 19 maggio per guardare lontano, oltre. Il 9 marzo viene dichiarata l’emergenza sanitaria nazionale, sono allertata dal mio amico K., un ragazzo senegalese, che mi dice di non mangiare da due giorni insieme a suo cugino che vive con lui. Il pacco alimentare che sono riuscita a portargli qualche giorno
Oltre la porta: la migrazione attraverso le parole di Mohsin Hamid
- Giulia Busso
- 23 Giugno 2020
Nel 2017, Einaudi pubblica, nella traduzione italiana di Norman Gobetti, Exit West. Un faro per chi si occupa di migrazione in ambito letterario, il romanzo dello scrittore pakistano Mohsin Hamid racconta la storia di Nadia e Saeed, due giovani che si incontrano e si innamorano l’uno dell’altra in un paese innominato che, dopo poche pagine dall’inizio, viene sconvolto dalla guerra civile. Costretti alla fuga, partono alla ricerca di un luogo che li accolga, passando da Tokyo alla California, dalle incantevoli spiagge di Mykonos al vento freddo di Londra. Impariamo a conoscerli dai dettagli: in un paradosso solo apparente, la tunica nera di Nadia ci parla del suo tenace desiderio di libertà e della sua intelligenza ostinata. Nel rapporto con il padre anziano, scopriamo la natura di Saeed, un giovane uomo malinconico e di buon cuore, sostenuto nelle difficoltà da una fede incrollabile. La loro relazione viene descritta attraverso un’ordinaria successione di eventi. Dall’ossessione dello stare insieme alla lontananza emotiva, fino alla separazione vera
L’ibridazione culturale nella migrazione tra passato e presente. Conversazioni con Pap Khouma
- Yassin Dia
- 19 Giugno 2020
Pap Khouma è uno scrittore di origine senegalese. I suoi romanzi sono un invito a riflettere su migrazioni, identità e métissage culturel. Le migrazioni internazionali attraversano la storia del Senegal sin dall’inizio del secolo scorso (Tall, 2008) e, sebbene i flussi provenienti dal Senegal si contraddistinguano per la forte eterogeneità dei profili migratori, è indubbio che essi abbiano, almeno fino alla prima metà degli anni Settanta, significativamente interessato la Francia. Essa ha di fatti visto il susseguirsi di numerose generazioni di migranti senegalesi, composte prima dai tiratori congedati al termine della Seconda Guerra Mondiale e dai marinai manjjack e soninke, poi dalla popolazione originaria della Valle del fiume Senegal e reclutata come mano d’opera nell’industria automobilistica francese (ibidem). Nel tuo primo romanzo, Io venditore di Elefanti. Una vita per forza tra Dakar, Parigi e Milano pubblicato per la prima volta nel 1990, racconti con grande lucidità il tuo percorso migratorio,
LA SALUTE INCARCERATA AL TEMPO DEL COVID. Cenni per ricordarci del carcere in epoca di pandemia
- Giulia Melani
- 15 Giugno 2020
Per gli anni a venire, molti di noi ricorderanno il 9 marzo 2020: il tam tam di notizie; la conferenza stampa del Presidente del Consiglio dei Ministri (http://www.governo.it/it/articolo/conferenza-stampa-del-presidente-conte-a-palazzo-chigi/14273); l’annuncio, atteso ma sconvolgente, del lockdown; le ansie per il drastico cambio di stile di vita che ci attendeva. La casa, le nostre case, si stavano accingendo a diventare un luogo “contenitivo”. Per alcun* uno spazio confortevole, in cui trascorrere un tempo scandito da ritmi nuovi e differenti, co* propr* car*; per altr*, una gabbia di solitudine; per altr* ancora, uno spazio inadeguato per prolungate convivenze tra troppe persone; per molti, ma soprattutto molte, l’inferno della violenza domestica. La relazione con la casa, come con molti altri luoghi che fanno parte della nostra geografia quotidiana, si è trasformata e nella descrizione di questa nuova fisionomia, in mancanza di un universo di espressioni capaci di restituire la profondità di questa mutazione, non è
RIPENSARE LA NORMALITA’: RELAZIONI ACCOGLIENTI
- Vanna D'Ambrosio
- 09 Giugno 2020
Eravamo pronti a tutte le emergenze: dalla mancanza di zucchero alle più aspre incomprensioni dal rifiuto di quel cibo ignobile alle rivendicazioni di umanità; dalle richieste di aiuto alle preghiere di non dimenticarli al freddo della strada. Eravamo pronti a tutto ma non certo a contenere una pandemia. Noi siamo chiusi nei nostri uffici e loro sono chiusi nelle loro camere ed entrambi abbiamo paura. Loro hanno paura di stare fin troppo stretti in quelle camere con i letti a castello, che durante il giorno radunano alcuni amici per chiacchierare e per sconfiggere quest’ennesima attesa. Hanno paura di essere bloccati in una condizione di marginalità, in quegli spazi angusti. Hanno paura che una mascherina al mese non sia abbastanza per difendersi dal contagio. Hanno paura di condividere pranzo e cena nelle stesse mense, non avendo il permesso di mangiare in camera. Hanno paura l’uno dell’altro, di non potersi fidare, perché in quelle case che accolgono centinaia di persone, non tutti si conoscono tra loro. Hanno paura delle
Brevi note sul discorso e la retorica d’odio nel contesto della crisi migratoria ai confini greco-turchi
- Dimitris Serafis
- 04 Giugno 2020
La cosiddetta “crisi dei profughi”, iniziata nell’estate del 2015, quando le isole greche sono state interessate dall’arrivo di un gran numero di persone in fuga da zone di guerra e di conflitto, come la Siria, ha polarizzato l’attenzione della società europea e, di conseguenza, il dibattito pubblico. Secondo i dati del Parlamento europeo, avendo ricevuto il maggior numero di profughi, la Grecia, come l’Italia, è tra i paesi al centro di questa “crisi” (vedi European Parliament, 2019). Come spesso accade in queste situazioni, è andato creandosi un contesto fluido all’interno del quale si diffondono tanto le espressioni di solidarietà nei confronti delle popolazioni migranti quanto i contro-discorsi discriminatori e/o di odio (Krzyżanowski, Triandafyllidou & Wodak, 2018). Il fenomeno del discorso d’odio (hate speech), è oggi percepito come una delle minacce che, accentuando le disuguaglianze e alimentando il razzismo, il sessismo e la violenza nei confronti dei gruppi minoritari (es. profughi), rischiano di disintegrare la coesione sociale nelle società occidentali. L’Europa sta infatti