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Brevi note sul discorso e la retorica d’odio nel contesto della crisi migratoria ai confini greco-turchi

La cosiddetta “crisi dei profughi”, iniziata nell’estate del 2015, quando le isole greche sono state interessate dall’arrivo di un gran numero di persone in fuga da zone di guerra e di conflitto, come la Siria, ha polarizzato l’attenzione della società europea e, di conseguenza, il dibattito pubblico. Secondo i dati del Parlamento europeo, avendo ricevuto il maggior numero di profughi, la Grecia, come l’Italia, è tra i paesi al centro di questa “crisi” (vedi European Parliament, 2019). Come spesso accade in queste situazioni, è andato creandosi un contesto fluido all’interno del quale si diffondono tanto le espressioni di solidarietà nei confronti delle popolazioni migranti quanto i contro-discorsi discriminatori e/o di odio (Krzyżanowski, Triandafyllidou & Wodak, 2018). 

Il fenomeno del discorso d’odio (hate speech), è oggi percepito come una delle minacce che, accentuando le disuguaglianze e alimentando il razzismo, il sessismo e la violenza nei confronti dei gruppi minoritari (es. profughi), rischiano di disintegrare la coesione sociale nelle società occidentali. L’Europa sta infatti vivendo un aumento senza precedenti degli episodi di incitamento all’odio (ECRI, 2017, p. 9), tanto da indurre l’UE ad adottare una serie di misure legislative finalizzate a controllare e arginare il fenomeno (ECRI, 2016). Contemporaneamente, fioriscono gli studi dedicati alla rilevazione della presenza del discorso d’odio nei diversi canali di comunicazione (es. mainstream media e/o social media) (vedi Assimakopoulos, Baider & Millar, 2017; Ging & Siapera, 2019). 

Nonostante la frammentazione dei sistemi giuridici dei paesi UE e la conseguente mancanza di una comune definizione legale (Alkiviadou, 2017), si definisce generalmente discorso d’odio quell’uso del linguaggio che incita alla violenza nei confronti di una categoria sociale protetta (es. profughi). Secondo il Consiglio dell’Unione europea, il discorso d’odio include «tutti i comportamenti che incitano pubblicamente alla violenza o all’odio contro un gruppo di persone o un membro di tale gruppo definito in riferimento a razza, colore, religione, origine nazionale o etnica» (Council of European Union, 2008). In poche parole, una frase come “ammazzate i profughi” potrebbe e dovrebbe essere punita, secondo la normativa UE.  

Una frase così, però, non viene usata spesso neanche da quei gruppi che si oppongono esplicitamente alla presenza dei migranti, come i partiti razzisti o i gruppi neonazisti europei. Il comme il faut e le norme che permeano la sfera pubblica limitano il discorso pubblico, e l’odio diventa un elemento sempre più implicito e subdolo. Come sottolineano i recenti studi in materia, infatti, «il discorso d’odio può essere occultato in dichiarazioni che a prima vista possono sembrare razionali o normali» (Weber, 2009, p. 5). Il discorso d’odio occultato o latente risulta quindi più pericoloso (Waldron, 2012, pp. 16-17; Soral, Bilewicz & Winiewski, 2017), non solo perché rimane irrintracciabile in termini normativi e quindi non affrontabile legalmente, ma anche perché, rimanendo opaco, rischia di essere considerato naturale, favorendo i comportamenti di esclusione e/o di violenza nelle società. Le radici dell’odio verbale si devono dunque cercare nel terreno concettuale che costruisce il discorso discriminatorio e nella retorica che contribuisce al suo multiforme sviluppo. 

La Grecia è “lo scudo dell’Europa”. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha definito così il ruolo della Grecia nel corso di una conferenza stampa tenutasi in presenza dei leader delle istituzioni europee e del premier greco nei pressi del fiume Evros, al confine tra Grecia e Turchia. La metafora bellica, e altre metafore come “flussi/marea di migranti”, “ondate di migranti”, “invasione”, e l’utilizzo di termini come “clandestini”, “illegali” (quasi sempre al plurale e seguiti da numeri che vogliono giustificare l’immagine dell’“invasione”) prevalgono nel dibattito politico e mediatico degli ultimi anni. Le popolazioni migranti vengono costruite verbalmente come minaccia che invade in maniera massiva le nostre società, come un fenomeno pericoloso, paragonabile ad un maremoto o ad una guerra. Con queste rappresentazioni si costruiscono percezioni che possono legittimare l’esclusione e l’incitamento all’odio: se la migrazione è un’invasione e/o una guerra, essa deve essere fermata ad ogni costo e con ogni mezzo possibile, ricorrendo finanche all’uso della violenza, potrebbe dire qualcuno. Questa implicita inferenza argomentativa – e altre simili – (vedi Serafis et al., 2019) possono legittimare l’odio e creare danni, non solo alle popolazioni di profughi. 

L’uso del linguaggio non produce mai una pura descrizione della realtà, ma la costruisce attivamente, rappresentando la nostra visione del mondo e contribuendo così alla costruzione di relazioni sociali. Ed è per questo che non è mai innocente ma, anzi, ancor più pericoloso quando riproduce prospettive ideologiche di discriminazione e acuisce relazioni di potere e ineguaglianze sociali, culturali e di genere. Il discorso discriminatorio e la retorica che ne consegue creano – puntando quasi sempre alla rappresentazione negativa dell’“altro” (profugo, migrante, povero e così via)-, “capri espiatori” da colpevolizzare e da escludere socialmente. È questa la logica sulla quale può stabilizzarsi e legittimarsi una politica della paura (Wodak, 2015). Il discorso ambiguo ed ingannevole e la retorica dell’odio che sono stati utilizzati durante i giorni della crisi ai confini greco-turchi hanno messo in evidenza questo percorso (Alvanoudi & Serafis, 2020). E le forme di resistenza contro questo fenomeno diventano ora più necessarie che mai. 

Bibliografia e sitografia 

Alkiviadou, N. (2017). Regulating hate speech in the EU. In Assimakopoulos, S., Baider, F. H., and Millar, S., a cura di, Online hate speech in the European Union: A discourse-analytic perspective Cham: Springer, pp. 6-10.  

Αlvanoudi, Α. & Serafis, D(2020). Αν θέλεις να λέγεσαι άνθρωπος ή η επανεφεύρεση του ανθρωπισμού στον 21ο αιώνα: Σκέψεις πάνω στην αντι-μεταναστευτική ρητορική μίσους. Το Περιοδικό, 12/03/2020. (https://www.toperiodiko.gr/%ce%b1%ce%bd-%ce%b8%ce%ad%ce%bb%ce%b5%ce%b9%cf%82-%ce%bd%ce%b1-%ce%bb%ce%ad%ce%b3%ce%b5%cf%83%ce%b1%ce%b9-%ce%ac%ce%bd%ce%b8%cf%81%cf%89%cf%80%ce%bf%cf%82-%ce%ae-%ce%b7-%ce%b5%cf%80%ce%b1%ce%bd-2/#.XosetogzbIU ) 

Assimakopoulos, S., Baider, F. H., and Millar, S., a cura di (2017). Online hate speech in the European Union: A discourse-analytic perspective. Cham: Springer. 

Council of the European Union. (2008). Council Framework Decision 2008/913/JHA of 28 November 2008 on combating certain forms and expressions of racism and xenophobia by means of criminal law. Official Journal of the European Union L 328/55(http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2008:328:0055:0058:en:PDF). 

Ging, D. & Siapera, E., a cura di (2019). Gender hate online: Understanding the new anti-feminism. New York: Palgrave Macmillan. 

ECRI – European Commission against Racism and Intolerance (2016). ECRI general policy recommendation No. 15 – On combating hate speechCouncil of Europe: Strasbourg, 21 March 2016. (https://rm.coe.int/ecri-general-policy-recommendation-no-15-on-combating-hate-speech/16808b5b01). 

ECRI – European Commission against Racism and Intolerance (2017). Annual report (http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/ecri/activities/Annual_Reports/Annual%20report%202016.pdf.) 

European Parliament (2019). Migration and asylum(http://www.europarl.europa.eu/thinktank/infographics/migration/public/index.html?page=intro) 

Krzyżanowski, M. Triandafyllidou, A. & Wodak, R. (2018).  Mediatisation and politicisation of refugee crisis in Europe. Journal of Immigrant & Refugee Studies, 16(1-2), 1-14. 

Serafis, D., Greco, S., Pollaroli, C., and Jermini-Martinez Soria, C. (2019). Towards an integrated argumentative approach to multimodal critical discourse analysis: Evidence from the portrayal of refugees and immigrants in Greek newspapers. Critical Discourse Studies, (online first) doi: https://doi.org/10.1080/17405904.2019.1701509 

Soral, W., Bilewicz, M. & Winiewski, M. (2017). Exposure to hate speech increases prejudice through desentization. Aggressive Behavior, 44, 136-146. 

Waldron, J. (2012). The harm in hate speech. Cambridge, MA: Harvard University Press. 

Weber, A. (2009). Manual on hate speech. Strasbourg: Council of Europe Publishing. 

Wodak, R. (2015). The politics of fear: What right-wing populist discourses mean. London: Sage. 

 

*Dimitris Serafis è un docente e post-doc researcher preso l’Istituto di Argomentazione, Linguistica e Semiotica, USI – Università della Svizzera italiana, Lugano. 

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